Elogio alla follia di Franҫois Truffaut
Oggi, forse il più grande regista francese della Nouvelle Vague, Franҫois Truffaut, avrebbe spento ottanta candeline se il tristo mietitore non l’avesse intimato a seguirlo all’età di cinquantadue anni privando il mondo della sua presenza.
La carriera cinematografica di Truffaut, non ancora nel ruolo di regista, ebbe inizio al numero 7 di Avenue de Messine, a Parigi, dove aveva preso corpo l’idea di Henri Langlois e Georges Franju di realizzare uno spazio, una casa-museo del cinema, la “Cinémathèque Franҫaise”, per preservare e perpetuare l’amore per il grande schermo. Truffaut, insieme a un gruppo di giovani cinefili, tra cui Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Eric Rohmer e Jacques Rivette, condivideva in questo luogo la propria passione per il mondo della celluloide, in un momento storico in cui la voglia di ricominciare cercava di arginare il dolore delle ferite ancora aperte, generate da un conflitto mondiale che aveva fatto pagare un prezzo altissimo all’umanità.
Prima ancora di realizzare il suo primo lungometraggio, I quattrocento colpi, Truffaut e l’amico Chabrol decisero di partire per la Costa Azzurra per intervistare, per conto della rivista cinematografica Cahiers du Cinéma, il regista inglese Alfred Hitchcock che in quel momento e in quel luogo stava girando Caccia al ladro. Finiti nell’acqua gelida di una vasca, in compagnia del magnetofono che avevano affittato per l’occasione, vennero salvati da una “compassionevole” costumista: “Miei poveri ragazzi, siete delle comparse del Rififì? – No signora, siamo giornalisti. – Allora, in questo caso, non posso occuparmi di voi”. (F. Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock).
Ricordando l’episodio, a un anno di distanza, il padre di Psycho, scorgendo i due giornalisti tra la folla, disse loro: “Signori, penso a voi due ogni volta che vedo dei cubetti di ghiaccio che si urtano in un bicchiere di whisky”.
L’attività giornalistica di Truffaut si rifletterà nello stile adottato dal regista francese nella sua produzione cinematografica: a volte sotto forma di voce fuori campo, altre, più in generale, come espressione narrativa. Trattandosi quindi di uno “scrittore di cinema”, si potrebbe affermare che le sue opere si contraddistinguono per la c.d. firma d’autore. “La vita era come una strana vacanza. Mai Jules e Jim avevano giocato una partita a domino così importante. Il tempo passava. La felicità si racconta male perché non ha parole, ma si consuma e nessuno se ne accorge”. (Voce narrante in Jules et Jim di F. Truffaut)
Questo tratto stilistico accomuna Truffaut ai suoi colleghi e amici francesi con i quali diede vita alla Nouvelle Vague. Questo movimento artistico viene ricordato per la centralità del ruolo del regista-scrittore e l’esigenza di restituire il bello e la forza espressiva della realtà all’occhio dello spettatore che siede nel buio e nel silenzio di una sala cinematografica. Lo “splendore del vero” veniva catturato senza gli artefatti tipici del set cinematografico.
Aspetto inequivocabile della sensibilità artistica di questo grande regista è l’originalità con cui traccia la figura femminile, sospesa tra joie de vivre, intraprendenza, distruttività e annullamento. Agli occhi dell’uomo vulnerabile “Le gambe delle donne sono dei compassi che misurano il globo terrestre in tutte le direzioni, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia” (F. Truffaut, L’uomo che amava le donne). Al contrario, i personaggi femminili dei film del regista francese sono spesso caratterizzati da una forte personalità che si traduce in frasi folli come “Né con te, né senza di te” (F. Truffaut, La signora della porta accanto). D’altronde, lo stesso Truffaut affermava che “Tutti coloro che scrivono sono un po’ matti. Il punto è rendere interessante questa follia”. Grazie Truffaut per averla tradotta nelle immagini dei tuoi indimenticabili film.
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